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17/01/2007
Il libro di Jeffrey Moussaieff Masson, "Il maiale che cantava alla luna - Lavita emotiva degli animali da fattoria" (Ed. Il Saggiatore), e' un libro toccante, ma rigorosamente scientifico e logico: d'altra parte e' proprio sulla logica, e sul senso di giustizia che ciascuno di noi dovrebbe avere dentro, che si fonda la considerazione che tutti gli animali sono uguali, senzienti, e che non c'e' alcuna giustificazione a tenerli prigionieri e ucciderli per i piaceri del nostro palato.
Il libro esamina approfonditamente i comportamenti, la "storia", le abitudini delle varie specie animali che vengono normalmente allevate al fine di essere macellate (o di produrre latte e uova, e poi essere comunque macellate). E fa capire, ai tanti che ancora non l'hanno capito, come ciascuno di questi animali sia un essere sensibile, intelligente, la cui specie ha maturato nel corso dell'evoluzione comportamenti e modi di gestire la propria "societa'".
La posizione del libro, come l'autore stesso sostiene, e' "radicale", nel senso che egli non ammette giustificazioni di sorta all'uccisione degli animali, giustificazioni che tanti cercano, pronti ad arrampicarsi sugli specchi e a sostenere tesi assolutamente illogiche e ben poco oneste, pur di potersi mangiare un panino al prosciutto "con la coscienza a posto".
L'autore afferma infatti nell'introduzione:
E' sbagliato che un animale da fattoria viva bene, che la sua esistenza si concluda con una morte indolore e che venga poi usato per nutrire degli esseri umani? Molte persone risponderebbero che non lo e'. Io invece ritengo che valga la pena di chiedersi, per prima cosa, con che criterio si stabilisce che cosa significhi vivere bene per un animale da fattoria. Naturalmente abbiamo tutti una certa idea di che cosa potrebbe significare. Tuttavia, a parte i difensori dell'industria, pochi sarebbero pronti a sostenere che una comune mucca da latte conduca una vita felice. Pensiamo a una mucca a cui sono sotratti i vitelli alla nascita, e che poi viene munta intensivamente per alcuni anni. E' mantenuta costantemente gravida per garantire una produzione continua di latte, ma non le viene permesso di tenere il suo vitellino. Alla fine, invecchiata prima del tempo, quando la sua utilita' e' in declino, viene uccisa, ben prima di aver raggiunto il termine naturale della sua esistenza. Si puo' dire che questa mucca ha condotto una vita felice?".
L'esempio della mucca e' particolarmente toccante, perche' va a colpire un aspetto primario del mondo emotivo degli animali: l'amore, l'attaccamento di un animale, di qualsiasi specie sia, per il suo cucciolo.
Aggiunge infatti l'autore:
Se credete che una mucca non ripensi mai al proprio vitello, chiedete a qualsiasi allevatore per quanto tempo un vitellino appena nato e sua madre si chiamano a vicenda. Un allevatore mi ha detto che finche' possono vedersi gridano fino a perdere la voce, senza sosta.
Altra riflessione importante e' quella sull'animale considerato come "merce" e sul fatto che far "vivere bene" gli animali sia solo una scusa che accampa chi antepone le sue papille gustative all'etica e al senso di giustizia. Egli scrive infatti:
Sono convinto che sia sbagliato allevare animali per mangiarli. Credo che non interessi a nessuno far "vivere bene" un animale se l'obiettivo finale e' farlo finire in tavola come pietanza. E' troppo facile barare, e' troppo invitante fingere di ignorare che cosa determini il benessere di ciascun animale.
Altre riflessioni, che troviamo sempre nell'introduzione, riguardano il rispetto verso la sofferenza di esseri senzienti che quasi tutti si ostinano a non riconoscere che sono proprio "come noi" sotto questo aspetto, e anzi, non riconoscono nemmeno che siano come il cane o il gatto che hanno in casa. A tanto puo' arrivare l'illogicita' e la cecita' di chi non vuole guardare la realta' dei fatti ma vuole solo continuare imperterrito con le proprie abitudini e fare "come fanno tutti". Scrive l'autore:
Ho constatato che, a tavola, quando dico che sto scrivendo un libro sulla vita emotiva degli animali d'allevamento, i miei commensali mi guardano con un sorriso strano, come se avessi detto qualcosa di ridicolo. [...] La questione non e' "che cosa", ma "chi" state mangiando. Una sofferenza su cosi' vasta scala puo' essere forse considerata un argomento ridicolo? [...] Perche' in genere si considera ridicolo sottolineare che ognuno di questi animali uccisi ha avuto una madre, presumibilmente dei fratelli e, di certo, alcuni sono stati compianti da un genitore, oppure un amico che ne ha sentito la mancanza? Anche se erano stati allevati per essere uccisi, questo non ha modificato la loro capacita' emotiva. Avevano ricordi, soffrivano e provavano dolore. Non ha alcun senso fare una graduatoria comparata della sofferenza dando molto peso all'"essere umano" e poco agli animali. Preoccuparsi di un tipo di sofferenza non significa che non si debba avere alcun interesse per le altre, o che una sia piu' significativa e terribile di un'altra.
Un altro punto interessante e' quello in cui si fa l'immancabile e dovuto confronto della prigionia degli animali con la schiavitu' umana. Interessante il confronto con le parole di Aristotele, che considerava la schiavitu' umana una cosa normale e opportuna, e con lui molti suoi contemporanei, cosi' come oggi molti - quasi tutti - considerano normale e opportuna la schiavitu' degli animali.
Fa notare l'autore:
L'analogia tra schiavitu' e addomesticamento animale non e' una novita'.
Risale come buona parte del pensiero occidentale, ad Aristotele, che nella
"Politica" scrisse:
"[...] gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi
tutti e' giovevole essere soggetti all'uomo, perche' in tal modo hanno la loro
sicurezza. [...] ed e' necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in
questo modo [...] costoro sono per natura schiavi, e il meglio per essi e'
star soggetti a questa forma di autorita', proprio come nei casi citati."
L'autore risponde poi anche alla domanda ricorrente "ma se noi non li allevassimo per mangiarli, questi animali non esisterebbero" che sembra, per motivi misteriosi, essere per molti una giustificazione al massacro:
E' opinione comune che gli animali da fattoria non esisterebbero neppure, se noi non li allevassimo: quindi per loro e' meglio condurre una vita da reclusi piuttosto che non vivere affatto. Spesso si afferma che animali come mucche, maiali, pecore, capre, polli, anatre e oche traggono vantaggio dal semplice fatto che gli e' permesso di esistere. Roger Scruton, filosofo britannico e appassionato di caccia alla volpe, fa, per esempio, una curiosa constatazione: "Gli animali giovani vengono macellati senza alcun rimorso fin dalle origini della storia", come se la schiavitu', il razzismo e i maltrattamenti sulle donne non risalissero anch'essi alle origini della storia. Da quando il protrarsi nel tempo di una pratica le conferisce dignita' morale?
"Gran parte degli animali che pascolano nei nostri campi" prosegue Scruton "sono li' perche' noi li mangiamo". Potrebbero essere li' comunque, a pascolare nei campi di un rifugio, se non li mangiassimo; soltanto, sarebbero molti meno. Da un punto di vista filosofico, non puo' essere valido affermare che qualcuno o qualcosa deve la propria esistenza alla nostra brama di sfruttamento, come se questo ci conferisse uno speciale diritto morale.
Infine, sulla questione della nostra grande generosita' umana che consente di far nascere cosi' tanti animali che altrimenti non nascerebbero affatto, l'autore scrive:
Quando pensiamo agli animali da fattoria, e' importante ricordare che lo scopo della loro esistenza e' quasi interamente determinato dalla loro morte o dallo sfruttamento. Esistono per morire o per essere usati. Li alleviamo per ucciderli o per trarne vantaggio, non per dargli la possibilita' di condurre la vita felice cui sarebbero destinati. Nessuna chiacchiera filosofica puo' fraci superare questo scoglio inamovibile: possiamo chiamarla slealta' umana?
Per concludere: un libro assolutamente consigliato, perche' l'autore e' davvero "dalla nostra parte" - cioe' da quella degli animali - senza se e senza ma. Senza dubbi. Un libro consigliato a chi e' ancora convinto che gli animali non sono tutti uguali (o che alcuni "sono piu' uguali di altri"...), per mettersi alla prova - se siete sicuri della vostra posizione, se siete convinti che le cose stiano come dite voi, leggetelo, mettetevi alla prova! E un libro consigliato anche a tutti noi che sappiamo che gli animali sono tutti uguali, perche' ricco di informazioni, dati e fonti utilissime nel nostro attivismo di tutti i giorni.
Il libro e' disponibile in libreria oppure puo' essere ordinato dal sito di AgireOra Edizioni, https://www.agireoraedizioni.org/prodotto.php?id=179.
Articolo di Marina Berati, gennaio 2007
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"Mamma, raccontami ancora di quando le persone hanno smesso di uccidere gli animali per mangiarli."
La storia che studieranno le prossime generazioni la stiamo scrivendo noi adesso. Facciamo in modo che sia una storia migliore per tutti gli esseri viventi.